È ancora da realizzare un’analisi approfondita di queste proposte, ma nell’insieme rappresentano un panorama ricco e variegato dei possibili modi di intendere il ruolo e le potenzialità della cultura; una varietà che impone riflessioni attente sulle possibili strade per l’innovazione del mondo culturale, delle sue economie, delle sue relazioni con il tessuto sociale e delle stesse interpretazioni del concetto di patrimonio e bene culturale.
In questa varietà, anche se in modo poco più che impressionistico, si rintracciano delle costanti, organizzabili in alcuni cluster che forniscono spunti interessanti per comprendere il fenomeno nel suo complesso e le potenziali implicazioni.
Un primo cluster è proprio quello definito dalle esperienze qui narrate: progetti e imprese che mettono in relazione il patrimonio e il capitale sociale in una logica di sviluppo di comunità: progetti di innovazione culturale a forte vocazione sociale, alla ricerca di una sostenibilità sociale non meno che economica, che intendono il patrimonio in modo processuale più che sostanziale, non tanto o non solo come valore in sé, ma come potente strumento – economico e simbolico – per rispondere ai bisogni delle comunità, con un forte legame con il territorio.
Un secondo cluster molto interessante è quello dei progetti che tentano di innovare i processi di produzione e fruizione culturale in una logica di filiera (integrabile sia verticalmente sia orizzontalmente). Le operazioni di questo tipo tendono a scardinare un sistema di produzione e fruizione (una filiera, appunto) in una logica reticolare, mettendo in relazione chi produce contenuti con chi li media, li commercializza e li utilizza. Si realizza un processo che attrae e organizza le relazioni degli individui condensandole attorno ad un oggetto culturale di interesse comune. In questo modo si condensa una comunità di persone assolutamente trasversali dal punto di vista sociale e potenzialmente anche disperse dal punto di vista geografico. Un’operazione che non sarebbe stata possibile anche solo dieci anni fa, prima che la tecnologia social permettesse queste forme di aggregazione temporanea di scopo in un contesto di ridimensionamento del welfare e moltiplicazione dei bisogni sociali tra sussidiarietà e filamenti di nuove pratiche di mutualismo.