/L’Unione Europea chiede più quote rosa nei vertici aziendali

L’Unione Europea chiede più quote rosa nei vertici aziendali

Nel corso degli anni l’Unione Europea ha giocato il ruolo di precursore nella lotta per l’uguaglianza di genere. Dalla parità di retribuzione ai diritti sul posto di lavoro, possiamo ritenerci, a giusto titolo, orgogliosi dei progressi realizzati negli ultimi decenni. Insieme, la Commissione e il Parlamento europeo si sono battuti in prima linea per realizzare gli sviluppi e i progressi che sono oggi sotto i nostri occhi.
I risultati sono tangibili: oggi il 60% dei laureati dell’Unione sono donne, mentre la quota di lavoratrici, in costante aumento, è arrivata al 62%, contro il 55% del 1997. Dal 2000 le donne hanno occupato ben tre quarti dei milioni di nuovi posti di lavoro creati in Europa.

Tuttavia, nella realtà imprenditoriale, l’ascesa delle donne ai vertici aziendali è da tempo ostacolata da un invisibile tetto di cristallo. Ancora oggi la presenza di donne nei Consigli di amministrazione è minoritaria: le donne sono solo il 16,6% degli amministratori e rappresentano appena il 3% dei presidenti di Cda. In Italia le donne rivestono il 12,9% delle cariche di amministratore, un dato inferiore alla media europea.

 Più quote rosa

A parte qualche iniziativa spontanea in ambito nazionale ed europeo, negli ultimi anni la situazione non è sostanzialmente cambiata e sono riscontrabili progressi tangibili – che rappresentano l’eccezione e non la regola – solo nei Paesi che hanno introdotto una legge sulle quote rosa. Di questo passo ci vorranno ancora quarant’anni prima che la percentuale uomo-donna nei Consigli di amministrazione sia paragonabile anche solo lontanamente all’equilibrio di genere, ovvero una rappresentanza di almeno il 40% di entrambi i sessi.

A fare le spese di questa disparità sono soprattutto le nostre economie. La parità di genere nel lavoro non è un problema delle donne, ma un imperativo economico e commerciale. In questi tempi di difficoltà economiche, in cui tutti i Paesi sono di fronte a sfide comuni come l’invecchiamento demografico, il calo delle nascite e la carenza di competenze, occorre più che mai valorizzare la ricchezza di talenti e di capacità del nostro capitale umano, indipendentemente dal sesso.
È per questo motivo che la Commissione e il Parlamento europeo sono oggi di nuovo in prima fila per accelerare i progressi in Europa. Un anno fa la Commissione ha presentato una proposta intesa a introdurre nell’Unione la regola del 40% per gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate in Borsa, inviando il giusto segnale ai più alti vertici aziendali.

La proposta poggia su una procedura di selezione trasparente, basata su criteri chiari e sul raffronto delle competenze e delle qualifiche dei candidati, volta a garantire entro il 2020 una rappresentanza del 40% del sesso sottorappresentato. Il ragionamento è semplice: nessuna candidata otterrà il posto per il semplice fatto di essere donna, ma allo stesso tempo non potrà essere scartata solo perché donna. Si tratta di un buon compromesso tanto per le imprese che per le donne, che rivendicano il diritto alla carriera al pari degli uomini.
Il Parlamento europeo, assemblea direttamente eletta dai cittadini, ha dato il suo fermo appoggio alla proposta della Commissione. Un appello deciso dal Parlamento a sostegno di norme più forti in grado di eliminare le disparità di genere negli organi direttivi delle imprese sarà un segnale forte per l’uguaglianza di genere in Europa.

È grazie all’impegno congiunto di queste due istituzioni che le nuove norme sono oggi all’ordine del giorno. Sta ora ai ministri degli Stati membri in sede di Consiglio mostrarsi all’altezza delle nostre ambizioni. È giunto il momento della verità: i ministri degli Stati membri sosterranno la posizione dei deputati europei direttamente eletti dai cittadini per promuovere la parità di genere in Europa o si tireranno indietro con il pretesto che l’uguaglianza di genere va affrontata a livello nazionale? È tempo di decidersi.
L’equilibrio di genere nei Consigli di amministrazione va guadagnando consensi in Europa. Il soffitto di cristallo comincia a incrinarsi.

Negli ultimi anni la percentuale di donne ai vertici aziendali europei ha registrato un aumento storico, soprattutto in Paesi come Francia, Italia e Danimarca, che hanno introdotto di recente misure legislative in tal senso. Questi Paesi sono il motore del cambiamento. Il processo è ormai avviato. Sono sempre più numerose le società che si contendono i migliori talenti femminili, consapevoli che, per rimanere competitive in un’economia globalizzata, non possono fare a meno delle competenze e del talento delle donne.
Non possiamo più concederci il lusso di cullarci sugli allori. Promuovere l’uguaglianza di genere è tra i nostri obiettivi sin dal 1957 e migliorare la quota di donne nei Consigli di amministrazione non ne è che la logica conseguenza. La nostra azione è cominciata cinquant’anni fa, ponendo il principio della parità di retribuzione per lo stesso lavoro, e da allora va avanti. Il recente voto al Parlamento europeo ha segnato un’altra tappa importante sulla strada della parità tra donne e uomini ai vertici aziendali per un’impresa che sia anche donna.

Viviane Reding (trad. Barbara Matera Sole24Ore)
Vicepresidente e Commissaria europea
per la Giustizia
Deputata europea