Mi chiamo Idrissa Kaborè e non è mai facile parlare di se stessi
Mi chiamo Idrissa Kaborè, sono nato in Africa ed esattamente in Burkina Faso. Lì ho trascorso i primi anni della mia vita, che mai avrei immaginato mi portassero fin qui.
Mi chiamo Idrissa Kaborè ed all’età di 12 anni sono arrivato in Italia dove mio padre ha sposato quella che poi è diventata la mia mamma italiana che ha adottato me, mia sorella e mio fratello.
Sinceramente appena arrivato sarei subito tornato indietro. Mi sentivo soffocare, mi mancava la mia terra rossa, la polvere che si alzava correndo da un albero all’altro con la speranza di beccare un po’ d’ombra per poi raggiungere la scuola e, cosa fondamentale, mi mancava la libertà.
Per me era IL Mondo Migliore
Sono nato in quello che tutti chiamano Terzo Mondo ma per me era il Mondo Migliore. Lì mi sentivo ricco perché avevo una gallina, donatami dalla nonna, che mi regalava tutti i giorni l’uovo e quindi potevo mangiare. Avevo il mio pezzettino di terra che coltivavo producendo arachidi per poi venderle al mercato della città più vicina che raggiungevo a piedi ed infine avevo tanti, anzi tantissimi amici con cui giocare. In Italia, invece, avevo la stanzetta da dividere con i miei fratelli che era in una casa che si trovava in un condominio che aveva porte, finestre e balconi. Insomma mi sentivo in gabbia. Piano piano e con molte difficoltà mi son dovuto abituare alle regole e agli spazi occidentali.
La mia mamma italiana per farci stare tranquilli ci faceva mettere le “mani in pasta” ci coinvolgeva nei sui lavori tra i fornelli. C’era chi schiacciava gli ingredienti nel mortaio per il pesto alla genovese, chi impastava e preparava la pasta fresca da condire col suddetto pesto, chi tirava la sfoglia per fare i ravioli, e poi tutti davamo una mano a preparare la torta di mele.
Nei piccoli gesti ho ritrovato l’Africa
Era tutto nuovo per me ma ho ritrovato in questi piccoli gesti la gioia che avevo lasciato in Africa. A scuola sono stato fortunato, il mio compagno di banco Andrea mi ha aiutato sia con le materie scolastiche che con i compagni di classe. Non ho perso nessun anno ed ho seguito la classe nonostante abbia dovuto imparare una nuova lingua nel più breve tempo possibile. Sarei voluto diventare medico per poi tornare dalla mia gente ed aiutarli tutti. Ma la strada era troppo lunga e così mi sono iscritto all’ Istituto alberghiero Marco Polo di Genova.
Mi piaceva quella scuola, ma soprattutto mi piaceva la forchetta che conservavo nella tasca per poi assaggiare i piatti che cucinavamo, mi piaceva il professore che finalmente rispondeva alle mie curiosità e mi spiegava i segreti delle cotture dei cibi, anche i più semplici come quella di preparare perfettamente un uovo sodo.
Il lavoro non mi ha mai spaventato
La mia mamma italiana ha sempre pensato a noi, però io ero abituato ad essere indipendente e quindi per poter disporre di qualche soldo in più durante gli studi aiutavo a scaricare le cassette di frutta al mercato sotto casa e pulivo qualche negozio alla chiusura. Il lavoro non mi ha mai spaventato. Negli anni della scuola ho partecipato a vari stage e appena diplomato sono partito subito per fare esperienza.
Il percorso non è stato facile, ma mio nonno che era il saggio della tribù mi diceva che bisognava prendere il meglio da ogni esperienza perché solo così si diventa adulti e forti per affrontare la vita che non si sa cosa ha in serbo per noi. Grazie ai suoi insegnamenti sono una persona positiva ed ho fiducia nella vita.
Avevo uno scopo: imparare sempre di più
Ad un certo punto mi sentivo nuovamente soffocare … dovevo andare via, dovevo mettermi in gioco e così dopo averne parlato con la mia famiglia, che naturalmente voleva rimanessi in Italia, son partito direzione Francia. Lì ho trovato lavoro facilitato dal francese che parlo correttamente, e così a testa bassa sono entrato in cucina come Seconde de Cuisine a Saint Tropez. Avevo uno scopo, imparare sempre di più, e così ho rubato un po’ da tutti il mestiere diventando sempre più consapevole tra i fornelli.
Ho fatto la gavetta, quella dura, formata da giornate infinite trascorse tra fornelli e pentole, andando a dormire distrutto dopo il turno e la pulizia della cucina, ma soddisfatto. Sapevo che stavo facendo la cosa giusta. Poi sono ritornato in Italia, mi sentivo pronto ad affrontare nuove sfide lavorative.
Sono stato un po’ in giro, finalmente facevo quello che desideravo il Cuoco.
La donna giusta, il Vero Amore
Quando pensavo alla mia vita al mio futuro l’ho sempre immaginato da solo, i cuochi lavorano tutti i giorni della settimana non c’è sabato, né domenica e quando gli altri festeggiano loro stanno chiusi in cucina a preparare le pietanze. Le donne che ho incontrato mi hanno sempre fatto pesare la mia assenza, e proprio per questo motivo mi ritrovavo a stare sempre da solo.
Poi ho incontrato, dopo quasi 20 anni dal mio arrivo in Italia una ragazza che appena l’ho vista ho capito subito che era la donna giusta, il Vero Amore, però io ero a Genova e lei a Napoli … non ho esitato mi son trasferito. Stavo bene in questa nuova vita mi sentivo in famiglia, i ragazzi della brigata dei ristoranti di Napoli mi hanno accolto col calore che solo i napoletani hanno e che un po’ ricorda l’accoglienza dei miei amici africani.
Sperimentare nuove ricette e nuove sensazioni
Anche questa volta non ho perso occasione d’imparare i piatti della tradizione partenopea. La prima ricetta è stata la “genovese”, che non ha nulla a che fare con Genova. Queste preparazioni, questi accostamenti aggiunti a quelli che avevo imparato durante tutte le mie esperienze hanno dato un nuovo impulso alla mie conoscenze, la cucina francese unita ai sapori della tradizione mediterranea mi hanno dato la possibilità di sperimentare nuove ricette e nuove sensazioni. Dopo una convivenza di poco più di un anno sentivo che ci voleva qualcosa, qualcuno per completare il noi.
Come tradizione ho chiesto a Brunella di sposarmi e dopo una meravigliosa luna di miele è arrivato lui, l’orgoglio della mia vita mio figlio Pasquale, ha il nome di mio suocero che ricordo con grande affetto pertanto mi è sembrato naturale dargli il suo nome, vista anche la sua scomparsa prematura. Pasquale è esattamente così come lo immaginavo con i capelli ricci come i miei e gli occhi sorridenti della mamma. Il senso di responsabilità si faceva sentire forte, oramai avevo una famiglia mia e dovevo provvedere a loro.
Le Gout
Ho lavorato sempre sodo, ma dopo qualche anno mi sono accorto che non provavo più gioia quando andavo a lavoro, io amo il mio lavoro e l’ho sempre fatto con entusiasmo, questa situazione mi ha portato a riflettere ed ho capito ed ho sentito che era arrivato il momento di aprire un ristorante tutto mio dove poter sperimentare nuovi sapori e dove poter dare alla mia cucina una nuova vita.
Mia moglie Brunella è sempre stata al mio fianco a sostenermi e incoraggiarmi, ha accettato questa nuova avventura ed insieme portiamo avanti il mio sogno che oramai è “nostro” ci siamo trasferiti a Bergamo ed è lì che ho aperto il mio ristorante l’ho chiamato LE GOUT, il gusto, dove si può mangiare a tutte le ore. Abbiamo passato quattordici mesi difficilissimi vista la pandemia e mi auguro di poter continuare a fare quello che più mi piace il Cuoco.
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