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Le associazioni culturali e la riforma del terzo settore: ecco cosa cambia

In Italia esiste un variegato mondo di organizzazioni non profit che operano nel mondo della cultura, dalle bande musicali, corali, compagnie di teatro amatoriale ma anche pro loco e tanto altro ancora. Con la riforma del terzo settore, gli enti che promuovono la cultura trovano pieno riconoscimento.

Scegliere se entrare o meno nel terzo settore dipende da una serie di variabili fiscali. Tra le possibilità, quella di diventare associazione di promozione sociale oppure optare per un approccio più imprenditoriale.

Prospettive delle associazioni culturali

Essere ente del terzo settore rappresenta una opportunità: la legge delega della riforma prevede che “L’iscrizione nel Registro è obbligatoria per gli enti del terzo settore che si avvalgono prevalentemente o stabilmente di finanziamenti pubblici, di fondi privati raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni o di fondi europei destinati al sostegno dell’economia sociale o che esercitano attività in regime di convenzione con enti pubblici” ed il codice del terzo settore prevede che le pubbliche amministrazioni coinvolgano gli enti del terzo settore nei percorsi di coprogrammazione e coprogettazione dei servizi ed attività che interessano anche il mondo culturale.

Le novità di natura fiscale

La riforma porta in sé però anche alcuni aspetti critici. Innanzitutto, le novità di natura fiscale introdotte avranno un pesante effetto sulle miriadi di associazioni che oggi garantiscono un’ampia offerta culturale.
Con l’entrata in vigore delle disposizioni fiscali introdotte dal codice del terzo settore, le associazioni culturali non potranno infatti più beneficiare della decommercializzazione dei corrispettivi specifici versati dai propri soci per usufruire dei servizi istituzionali (in virtù alle modifiche apportate all’art. 148, terzo comma, del Tuir). Tali agevolazioni saranno infatti condizionate alla circostanza che i sodalizi si qualifichino come associazioni di promozione sociale.

Le associazioni culturali devono quindi verificare se possono assumere la veste di associazioni di promozione sociale, come le associazioni già iscritte nel registro della promozione sociale devono verificare se permangono le condizioni per mantenere detto status.
Un’associazione si può infatti qualificare come associazione di promozione sociale solo se:

  • presenta almeno sette soci persone fisiche o tre associazioni di promozione sociale (art. 35 Cts);
  • si avvale in modo prevalente dell’attività di volontariato dei propri associati o delle persone aderenti agli enti associati (art. 35 Cts);
  • assume lavoratori dipendenti o si avvale di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura, anche dei propri associati solo quando ciò sia necessario ai fini dello svolgimento dell’attività di interesse generale e al perseguimento delle finalità (art. 36 Cts);
  • il numero dei lavoratori impiegati nell’attività non sia superiore al 50% del numero dei volontari o al 5% del numero degli associati (art. 36 Cts).

Molte associazioni culturali potrebbero non presentare tali requisiti

Si pensi alle realtà che hanno una base associativa limitata perché nascono per svolgere attività culturale diretta alla collettività, magari in regime di convenzione con l’ente locale, come le associazioni che gestiscono servizi educativi per l’infanzia e l’adolescenza o quelle che garantiscono l’animazione culturale durante l’estate.

Si pensi anche alle scuole di musica che devono avvalersi di un numero rilevante di collaboratori per promuovere l’educazione dei diversi strumenti musicali nell’ottica di promuovere la musica orchestrale: in questo caso diventa difficile garantire che il numero di collaboratori sia inferiore al 5% del totale dei soci, così come non è facile garantire il coinvolgimento di volontari continuativi ed attivi in misura superiore al doppio dei collaboratori retribuiti.

Cosa fare quindi in questi casi?

L’associazione potrà valutare se:

  • acquisire la qualifica di Aps incrementando il numero dei soci e/o dei volontari, od optare per la fusione con altra associazione per incrementare, di fatto, il numero dei soci;
  • qualificarsi come ente del terzo settore generico;
  • assumere la qualifica di impresa sociale, mantenendo la qualifica di associazione o effettuando una trasformazione eterogenea da associazione a società anche cooperativa.

Fonte  e testo integrale : cantiereterzosettore.it  a cura di  Francesca Colecchia – Arsea srl