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Vuoi usare la realtà virtuale per fare formazione esperienziale? Segui queste 5 regole

Vantaggi e limiti delle tecnologie immersive per la formazione aziendale

A inizio ottobre 2019 People Group ha lanciato un progetto di integrazione della realtà virtuale (VR) in una sessione di formazione esperienziale chiamato Missioning® VR. Il 29 novembre a Bologna ha aperto VRUMS, la prima struttura in Italia dedicata alla VR non solo per il gaming, ma anche per i primi esperimenti di team building e formazione. All’estero, poi, la rivoluzione è già iniziata da tempo, con aziende e strutture che offrono pacchetti di team building virtuale in inghilterra, Olanda, Germania, Svizzera, per non parlare di USA e Canada.

Il trend sembra chiaro e l’entrata di colossi del calibro di Google e Facebook nel mondo delle tecnologie immersive dà una chiara idea degli interessi in campo.

Le tecnologie immersive come la VR, tuttavia, poggiano su un terreno molto scivoloso. Da un lato stanno diventando ormai un fenomeno di costume. Non c’è pubblicità o sito internet dedicato a una vaga idea di innovazione che non metta in bella mostra un visore. Come a dire: “Anche noi siamo innovativi”.

Nel mondo della formazione sta accadendo un po’ la stessa cosa. La VR è trendy, allora vendiamo VR. E via tutti con il visore in testa. Quello che avviene, nella maggior parte dei casi, è che i partecipanti si ritrovano coinvolti in un bel videogioco, che poco o nulla ha a che fare con la formazione e l’apprendimento di competenze trasversali.

Formazione esperienziale e realtà virtuale
Formazione esperienziale e realtà virtuale

Quindi non funziona?

Tutt’altro, funziona benissimo. Ma come ogni strumento ha dei limiti e delle modalità d’uso che possono cambiare drasticamente l’efficacia dello stesso. Ecco una breve guida per usarla al meglio.

Vediamo quali sono i 5 elementi essenziali da tenere a mente per erogare un progetto di formazione e non un semplice videogioco:

1) Progettazione, progettazione, progettazione

Qualsiasi esperienza, se non inserita in un contesto specifico e preceduta da un’analisi dei bisogni formativi, rimane fine a se stessa. Nel caso della VR, la percezione di qualcosa di avvolgente e di eccitante che ci investe e ci risucchia, rischia di amplificare questo effetto e di proiettare i partecipanti in un gustoso videogioco, che – ahimè – non ha nulla a che vedere con la formazione o con il team building. L’attenzione dei partecipanti sarà assorbita dall’azione, lasciando poco spazio a un minimo di meta-cognizione (in parole semplici, la capacità di osservare e riflettere sui nostri pensieri), indispensabile per dare un senso all’esperienza stessa.

Non succede solo con la VR. Un esempio tipico, nella formazione esperienziale, è dato dal ratfting. A volte capita di vedere facce terrorizzate di dipendenti che spalano l’acqua di fiumi di classe 5 (molto difficili) sotto la guida di timonieri che urlano comandi a squarciagola, terrorizzati anche loro dal perdere un cliente. Per chi lo subisce, quella non è formazione, ma sopravvivenza; a meno che non si stia lavorando su temi molto specifici. Quindi il rafting non è utile come esperienza? Certo che sì, va solo progettata in modo coerente con obiettivi e livello dei partecipanti.

2) Limiti della tecnologia

Conoscere le caratteristiche della tecnologia e sfruttarla al meglio, permette di non cercare a tutti i costi l’”effetto WOW”. Allo stato attuale, la VR permette di far interagire all’interno dell’ambiente virtuale un numero limitato di persone, spesso una per volta.

Ma allora come facciamo a lavorare in team?
Anche in questo caso ci viene in aiuto una corretta progettazione, in modo da trasformare un limite in un punto di forza. Quello che può sembrare un punto debole può rappresentare metaforicamente la scarsità di risorse; oppure si può contingentare il tempo di permanenze come strumento di time management; o ancora, l’utilizzo di informazioni differenti per chi sta nella VR e per chi sta fuori può diventare un efficace allenamento per la comunicazione efficace; e così via.

3) VR o AR?

Vi racconto un aneddoto: quando spiego alle persone che opero anche come guida di canyoning, un buon 60% degli interlocutori mi sorride e mi dice “Che bello, anche io una volta sono andato in canoa”
Avere un’idea delle principali differenze tra le tecnologie immersive permette di scegliere gli strumenti e le metodologie più funzionali. Banalmente, la realtà aumentata (AR) è molto utile per la formazione tecnica, mentre la VR è eccezionale per lavorare sulle soft skill creando mondi metaforici ed esperienze immersive, sovrapponibili in buona parte a quelle reali. Attenzione, però: per avere un buon prodotto di formazione (e non il videogioco), non basta trovare un bravo programmatore. Nel nostro caso, ad esempio, insieme al nostro partner tecnico Marte 5, abbiamo lavorato due settimane sulla programmazione del software… e più di due mesi sulla progettazione dell’evento, nel quale lo strumento VR sarebbe stato integrato.

4) Interazione tra le persone

Questo aspetto è determinante per lavorare sulle competenze relazionali. L’interazione, tra chi sta nell’ambiente virtuale e chi sta fuori, deve essere continua e orientata a un risultato. Non è interazione fare il tifo al nostro collega che cammina sul cornicione di un grattacielo (virtuale) senza cadere; così come non ci sarebbe se lo facesse nel mondo reale. Uno dei tanti sistemi che si possono usare, ad esempio, è una distribuzione asimmetrica delle informazioni: i partecipanti all’esterno hanno delle informazioni diverse da chi sta all’interno (e viceversa). Questo costringe tutti a trovare modalità di comunicazione essenziali e funzionali per portare a termine il compito.

5) Debriefing

Tutto quello che abbiamo detto finora non avrebbe senso se non fosse finalizzato ad un aumento di consapevolezza, da parte dei partecipanti, rispetto alle strategie elaborate e alle azioni realizzate durante l’attività esperienziale. Tutto il lavoro fatto finora, a partire dalla ideazione e progettazione dell’esperienza, deve emergere forte e chiaro nella discussione post attività. Solo un incremento della consapevolezza su quanto vissuto può accendere la scintilla del cambiamento.

Concludendo…

Chiudi il computer.

Lavora di immaginazione.

Decidi dove vuoi andare.

Fai un’accurata progettazione che ti permetta di integrare al meglio tutti gli strumenti.

Allora, e solo allora, puoi cominciare a pensare a cosa significa indossare un visore!

Autore

Roberto Locatelli è il responsabile dei progetti di formazione esperienziale di People Group. Formatore, appassionato di neuroscienze e Guida Canyon, è sempre alla ricerca di nuovi modi per conoscere e interpretare la realtà che ci circonda. Per comunicare con l’autore: [email protected]