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Metodologie didattiche tradizionali vs innovative

Metodologie didattiche tradizionali vs innovative

Analizzando i molteplici contributi in tema di metodologie didattiche è possibile suddividerle in due grandi filoni.

Le metodologie tradizionali e quelle emergenti. Si può individuare una tipologia-standard tra quelle tradizionali nell’elenco che segue:

a. Istruzione programmata;
b. Lezione;
c. Lettura;
d. Discussione;
e. Incident;
f. Caso;
g. Simulazione;
h. In-Basket;
i. Role-play;
j. Esercitazione;
k. Gruppo esperienziale (T-group)
l. Gruppo di studio;
m. Lavoro di progetto;
n. Autocaso.

Istruzione programmata

L’istruzione programmata occupa uno spazio a sé nell’elenco sopra riportato, caratterizzandosi come un percorso di apprendimento altamente formalizzato e strutturato, opportunamente predisposto e che è richiesto al soggetto di compiere in modo vincolato. Meglio, si caratterizza come punto di convergenza tra un modello di apprendimento per passaggio di informazioni ed uno per condizionamento.

Si realizza in una sequenza di unità di conoscenza (unità di apprendimento) in forma di altrettante domande. Per ciascuna delle quali è prevista una risposta e possibilità di controllo della stessa: la risposta esatta consente la prosecuzione del percorso, la risposta errata esige riapprendimento.

Evidente è dunque la logica di fondo: apprendimento per rinforzo, progressivo e sequenziale, per micro-unità di sapere rispetto ad un oggetto la cui completa conoscenza è garantita dal compimento dell’intero percorso, come dire frammentazione dell’oggetto di conoscenza per elementi minimi di apprendimento.

Lezione Lettura Discussione

Questo gruppo di metodologie riassume in sé quanto si può definire approccio accademico classico, configurando di fatto la tradizionale relazione di insegnamento.

Al soggetto è richiesta attenzione ed ascolto. Il modello di apprendimento è di tipo espositivo, l’apprendimento è vincolato a tali condizioni di base oltreché ovviamente, per i contenuti, alle informazioni trasmesse dal docente.

Nella logica di questo scambio di unità di conoscenza o di sapere la lezione è vincolata a tempi comunque limitati. Istituisce massima dipendenza del discente dal docente e consente altresì basso controllo in itinere da parte di quest’ultimo sull’apprendimento del primo. A parziale integrazione della lezione, lettura e discussione consentono uno scambio più attivo tra docente e discente: un confronto, un’interrogazione reciproca, una verifica.

Incident Caso

Il caso è una situazione-problema che richiede soluzione. Caso è altresì il resoconto o la cronaca degli eventi che hanno condotto a tale situazione-problema o che, più semplicemente, stanno a monte: una ricostruzione più o meno dettagliata di un certo periodo di storia organizzativa rispetto al presente rappresentato dal problema stesso.

Un caso è infine una decisione da prendere, un intervento da proporre, un cambiamento da adottare come soluzione della situazione-problema. Il metodo didattico che ne consegue, per altro ampiamente noto, punta dunque sull’attivazione di processi di analisi di fatti e dati di un determinato contesto organizzativo e sulla ricerca di risposte ai classici interrogativi “come è successo?” e “che cosa fare?”.

In tal senso esso costituisce il punto di passaggio dall’approccio accademico a quello cosiddetto attivo, dove la relazione pedagogica tra docente e discente privilegia la discussione ed il confronto al semplice ascolto, e dove il tipo di apprendimento sollecitato si caratterizza nella logica del problem solving e/o della problem analysis.

L’incident, per comodità, lo si potrebbe definire un caso da completare. Ai soggetti, infatti, posti di fronte ad una situazione-problema delineata nei suoi tratti essenziali è anzitutto richiesto di ricostruire il caso, di individuare il tipo di dati e informazioni necessarie all’analisi e di proporre una soluzione in ipotesi.

Rispetto al metodo dei casi questo metodo si caratterizza dunque, pur nell’adesione ad analoghi principi didattici, per una maggiore flessibilità ed apertura del percorso di analisi (e di apprendimento) sollecitato.

Simulazione Role-play

Raggruppabili in un’unica area, questi metodi segnano il definitivo passaggio da un approccio accademico ad uno attivo. La logica condivisa è quella dell’apprendimento per esercizio, sperimentazione, riproduzione (attiva) di problemi e situazioni (con ovvio riferimento prevalente agli oggetti e alle condizioni di lavoro dei soggetti).

Ciò che potrebbe essere identificato, per comodità, come un caso simulato dal vivo anziché semplicemente analizzato a tavolino come è per i metodi analizzati in precedenza. Riferimento altrettanto condiviso è ad un modello di apprendimento di tipo esperienziale che segue rigorosamente i passaggi di sperimentazione, analisi e concettualizzazione.

La simulazione consiste nella sperimentazione di una specifica realtà organizzativa e sulla base di dati e informazioni predisposti è richiesto ai soggetti di prendere decisioni a più riprese e con la possibilità ogni volta di verificarne i risultati e dunque di ridefinire obiettivi direzione delle decisioni stesse. In-basket sono esercizi di presa di decisione vincolati al tema della corrispondenza di lavoro.

Role-play sono esercizi di rappresentazione o drammatizzazione a partire da profili di ruolo predefiniti: dove evidentemente sono condizioni e caratteristiche del provare a mettersi-nei-panni-di o dell’impersonare quel ruolo ad essere contenuti di apprendimento. Le esercitazioni possono di fatto riassumere in sé le precedenti.

Gruppo esperienziale

Si parla qui di gruppo esperienziale per indicare una molteplicità di metodologie formative il cui denominatore comune si riassume nella centratura sul gruppo: dove cioè il gruppo è momento e strumento, motivo e movente, soggetto e oggetto di apprendimento.

Il riferimento classico è al T-group (Training-group, cioè “gruppo di allenamento”) come scoperta originale e creativa delle possibilità e delle potenzialità formative del gruppo.

A grandi linee, si riconoscono oggi almeno quattro differenti filoni principali, che per i limiti di questo lavoro non possiamo ulteriormente approfondire:
a. T-group;
b. Encounter-group;
c. Gruppo di analisi istituzionale;
d. Gruppo di socioanalisi.

In generale va tuttavia precisato che il gruppo esperienziale si caratterizza come modalità formativa anzitutto per il tipo di apprendimento sollecitato, in termini di analisi e rielaborazione personale dell’esperienza del soggetto nel gruppo ed in funzione di differenti livelli, da quello delle modalità di interazione a quello dei vissuti emotivi suscitati o emergenti. Si caratterizza inoltre come progetto educativo in larga misura destrutturato, vincolato a ciò che succede qui-ed-ora ovvero alle verbalizzazione dei soggetti, al materiale da essi prodotto.

Si caratterizza infine per il riferimento costante al gruppo come dimensione di vita sociale, come specchio di sé, come luogo deputato alla riscoperta delle modalità personali di entrare in relazione con gli altri ovvero di confrontarsi con la complessa realtà nei rapporti sociali.

Gruppo di studio

Questi metodi si caratterizzano anzitutto per la condivisione del proposito di ovviare a taluni inconvenienti propri dei metodi in precedenza esaminati. In particolare all’estraneità e al basso coinvolgimento dei soggetti per quanto si riferisce al metodo dei casi, ed alla situazione di “finzione” propria di esercitazioni e simulazioni.

In tal senso, proposito ugualmente condiviso è quello di favorire un apprendimento maggiormente centrato sul soggetto sia rispetto ai processi attivati che ai contenuti del progetto educativo.

Per semplicità si può parlare di metodi educativi che privilegiano una duplice dimensione. Quella della problem analysis da un lato e quella della discussione e del confronto dall’altro, dove tuttavia il materiale oggetto dell’analisi del progetto educativo è prodotto dai partecipanti stessi anziché dal docente.

Più precisamente:

  • Il Gruppo di studio si propone come lavoro di approfondimento di argomenti (i più diversi) scelti dai soggetti e per cui è richiesto di raccogliere materiali (i più differenti), di organizzarli, rielaborarli e predisporre una relazione come sintesi del lavoro stesso.
  • Nel Lavoro di progetto gli argomenti ripropongono soprattutto situazioni-problema di specifici e reali contesti organizzativi, dove l’obiettivo del progetto educativo consiste essenzialmente nella stesura di un caso, nella ricostruzione dal vero di tali situazioni-problema e dove sono previsti momenti di lavoro sul campo per l’acquisizione di dati e materiale informativo.
  • Autocaso infine è un caso reale di uno dei partecipanti del progetto educativo ricostruito interamente in aula secondo modalità di lavoro che richiedono l’acquisizione di strumenti concettuali di analisi e classificazione dei dati e la loro applicazione ai casi in oggetto.

Le metodologie emergenti, a differenza di quelle tradizionali, costituiscono un campo piuttosto eterogeneo, differenziato ed in costante evoluzione. Il seguente elenco può essere considerato rappresentativo in relazione alle metodologie didattiche “innovative”

a. Outdoor development;
b. Outward bound;
c. Learning community;
d. Autonomy laboratory;
e. Action learning;
f. Joint development activities;
g. Metodi riflessivi.

Outdoor development

Il nome lo dice: si tratta di qualcosa oltre il confine. Il confine è rappresentato in questo caso proprio dalle condizioni, dalle situazioni, dai problemi abituali di lavoro dei soggetti. Le finalità del metodo sono evidentemente quelle di proporre un percorso di apprendimento dalla realtà, ma in situazioni-limite che richiedano un completo coinvolgimento del soggetto (anche fisico) e in condizioni inabituali. Tali da richiedere al soggetto stesso l’utilizzazione di tutte le sue risorse, la ricerca e la sperimentazione attiva in assenza di punti di riferimento stabili e rassicuranti.

Questa metodologia educativa si caratterizza in definitiva per il tentativo di “rompere” il confine dell’aula e della classe come riferimenti tradizionali del progetto educativo o dell’apprendimento. Tale metodologia ha l’obiettivo di “sbloccare” gli schemi (altrettanto tradizionali) in base ai quali i soggetti apprendono. Schemi diventati routinari, dunque rigidi ed inefficaci a garantire apprendimento del nuovo.

Community & Laboratory

La filosofia pedagogica che sostiene questi metodi è assai semplice. L’apprendimento non può che essere favorito dalla costituzione spontanea di un gruppo di soggetti che reciprocamente si scelgono.

Condividono gli stessi obiettivi di apprendimento e l’intenzione di realizzare un progetto finalizzato. I due metodi sono assai simili, in ogni caso ne sintetizziamo le principali caratteristiche.

Learning community

Learning community si propone come un progetto educativo vincolato al principio che ciascun soggetto è responsabile in prima persona dell’identificazione e della realizzazione dei propri obiettivi di apprendimento. Nonché della collaborazione con altri per identificare e realizzare i loro obiettivi.

Esso punta inoltre a favorire e agevolare lo sviluppo di un apprendimento significativo per il soggetto nel senso della guida alla piena autonomia. Anche in questo caso, come già per l’outdoor development, il confine dell’aula tradizionale è assai labile.

Il concetto di “comunità di apprendimento” fa riferimento piuttosto (e anzitutto) alla rete che collega i soggetti, non già alla loro disposizione o collocazione fisica nella stessa stanza.

Autonomy laboratory

Autonomy laboratory si orienta soprattutto nella direzione di un apprendimento all’autonomia e alla creatività attraverso il riconoscimento e l’utilizzazione da parte dei soggetti della molteplicità delle loro risorse personali.

Come per il metodo precedente tuttavia si lavora prevalentemente con materiali tradizionali, anche se l’obiettivo primario di apprendere ad apprendere può richiedere mezzi e risorse fra le più diverse.

Action learning

Si può ben dire che la vera innovazione nel campo dei metodi didattici sia riconducibile in larga misura alla proposta di action learning, sostenuta da un sempre più vasto consenso e dai contributi di un sempre maggior numero di studiosi.

I principi generali

Facciamo riferimento ai tratti essenziali, ai principi generali del metodo, che possono essere riepilogati nei seguenti punti.

Il tentativo di saldare il momento dell’apprendimento con quello dell’azione. Cioè della quotidiana attività di lavoro del soggetto. Il tentativo di stabilire quella circolarità sempre cruciale tra apprendere-agire-apprendere come identità inscindibile dei due momenti. Action learning in tal senso ha corrispondenze molto evidenti con l’altrettanto rivoluzionario concetto lewiniano di action research.

L’ancoraggio del progetto educativo a problemi concreti di lavoro nel senso proprio della trasformazione delle modalità connesse con il gestire un problema in quelle di un vero e proprio progetto di apprendimento.

 La sollecitazione di processi di apprendimento complessi finalizzati a promuovere un sapere non per semplice acquisizione dall’esterno bensì per rielaborazione e scoperta originale.

Gli obiettivi generali

Sapere che ha per oggetto al tempo stesso i contenuti del problema e le modalità del soggetto di affrontarlo, analizzarlo e risolverlo, recuperando ampiamente l’esperienza passata. Dunque ha come obiettivi generali sviluppo e consapevolezza;

Il conseguente richiamo a modelli di apprendimento di tipo pragmatico ed esperienziale confluenti a realizzare compiutamente un percorso di apprendimento di tipo eminentemente cognitivo. In sintesi, ciò che definisce action learning come metodo, al di là dei più generali riferimenti teorici, è anzitutto l’assunzione di problemi reali (di lavoro e organizzativi) come contenuto del progetto educativo.

Quanto al metodo denominato joint development activities, esso tende a coincidere in larga misura con action learning. Identico è l’approccio teorico di base rivolto a promuovere, attraverso l’apprendimento, uno sviluppo globale dei soggetti nel ruolo ricoperto. Assai simile il riferimento a problemi concreti e reali come contenuto del progetto educativo, identica ancora la possibilità di costruire gruppi di soggetti che prevedano scambi tra organizzazioni differenti (joint, appunto).

Pro e contro

L’unica differenza, per quanto di rilievo, ha a che vedere con l’orientamento tipicamente propositivo dei progetti joint development activities rispetto a quello tendenzialmente risolutivo di action learning. Mentre questi ultimi vincolano il modello di apprendimento e la struttura del progetto a problemi nel senso proprio delle cose che non vanno o non funzionano e per le quali cercare una soluzione.

I primi orientano piuttosto i soggetti nel senso di ricercare nuove idee finalizzate anzitutto alla crescita, allo sviluppo, alla realizzazione di nuove opportunità in riferimento al ruolo ricoperto dai soggetti stessi nonché esplicitamente all’organizzazione coinvolta dal progetto.

Metodi riflessivi

A completare il panorama certo già piuttosto eterogeneo dei metodi emergenti può essere infine considerata, seppure in posizione di confine rispetto ai metodi sin qui esaminati. Un’area piuttosto ampia di tecniche formative che, almeno a livello generale, possono essere accomunate da un riferimento privilegiato a modelli di apprendimento di tipo riflessivo.

Caratteristiche principali

a.La centratura sul soggetto a livello della più generale area del sé;
b.Il distacco da più precisi riferimenti sia alla esperienza di lavoro, di ruolo o organizzativa in termini di problemi concreti, sia all’agire;
c.Il recupero del più generale campo di esperienza personale come rimando per l’auto-riflessione. Per meglio comprendere l’importanza e l’impatto delle metodologie didattiche fin qui presentate, e nello specifico quelle emergenti, è necessario accennare alla teoria di uno studioso statunitense dei processi di apprendimento, Kolb.  Il quale, pur manifestando palesi limiti dovuti ad un certo appiattimento positivistico della sua teoria, ha avuto ed ha tuttora una notevole rilevanza applicativa soprattutto negli Stati Uniti.

Apprendimento esperienziale

Il suo modello dell’apprendimento esperienziale disegna un ciclo dell’apprendimento dei soggetti adulti inseriti nelle organizzazioni in cui si susseguono, in modalità circolare fissa, le seguenti quattro fasi:

1. Esperienza concreta;
2. Osservazioni e riflessioni;
3. Formalizzazione dei concetti e generalizzazione;
4. Applicazione dei concetti in nuove situazioni.

Secondo Kolb è possibile individuare diverse tipologie di stili di apprendimento degli individui, che possono essere utilizzate a loro volta per individuare diverse attitudini in funzione sia alle diverse professioni e settori aziendali che alle modalità organizzative di progetti formativi.

Ogni persona, mediante la somministrazione di tests mirati e alla loro codifica in punteggi, ottiene una collocazione grafica (numerica) rispetto ad ogni fase. La fase dominante (o le fasi) che ne risulta corrisponde allo stile di apprendimento preminente di quel soggetto.

La teoria di Kolb

Nella teoria dell’apprendimento di Kolb, inoltre, possono scaturire ulteriori quattro definizioni di stili di apprendimento a seconda della posizione ipotetica che ogni individuo va a ricoprire nel continuum circolare che ha come quattro vertici estremi della circonferenza gli stili citati.
A questo punto appare chiaro come il metodo didattico rappresenti una tappa lungo un itinerario che il soggetto fruitore dell’apprendimento deve percorrere per giungere agli obiettivi prefissati. In quest’ottica la prima attenzione da prestare nella scelta del metodo didattico più adeguato fa riferimento alla sequenza ottimale da realizzare globalmente. Come nel caso dell’esposizione di diapositive, la metodologia scelta deve essere collegabile a quella che precede e a quella che segue.

La scelta della metodologia

Deve avere una certa congruenza con l’obiettivo generale ricercato, deve seguire una certa logica e una certa strategia espositiva prescelta. E’ importante valutare, nella scelta della metodologia didattica, se essa sia, in accordo agli obiettivi prefissati. Orientata in generale a sviluppare conoscenze, capacità o comportamenti, dato che le metodologie didattiche finora presentate sono tendenzialmente indirizzate a sviluppare ognuna un’area specifica.

In relazione alla dinamica del processo di apprendimento bisogna tenere conto delle fasi che è necessario percorrere. Perché un apprendimento sia ben radicato nella rete neuronale di un soggetto. Così che possa essere richiamato con facilità ogni volta che risulti opportuno. Il rimando è al modello di apprendimento di Kolb. Il quale ipotizzava che ogni individuo potesse meglio cogliere le opportunità formative a seconda del proprio stile di apprendimento.

Un altro criterio, questa volta logistico, di cui tenere conto nell’adozione di un metodo piuttosto di un altro è quello della tempistica. Ossia di quanto tempo disponiamo. Le differenti metodologie didattiche infatti richiedono tempi diversi sia di progettazione che di realizzazione. Per quel che concerne la progettazione si può affermare che più una metodologia è strutturata più i tempi si allungano e viceversa.

Realizzare le attività

Per quel che concerne la realizzazione, i singoli episodi didattici richiedono tempi molto diversificati fra di loro. Alcuni possono essere svolti in pochi minuti, altri richiedono ore e altri ancora giorni interi. Restando sulle problematiche logistiche, anche l’elemento spazio richiede altrettanta attenzione. Gli spazi a disposizione possono essere codificati in quattro tipologie.

Aula, Spazi chiusi (stanze attrezzate, riservate, luoghi di lavoro, ecc.). Spazi residenziali (la cui caratteristica è quella di richiedere una lontananza fisico-emotiva dal luogo di lavoro). Spazi aperti (luoghi extralavorativi come la propria abitazione, un prato, altre organizzazioni e aziende).